Consensus by Rinaldo Lampis


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Ottobre 2, 2005

Qual è la religione più diffusa del mondo? Il Paganesimo

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Descrizione interessante di una religione naturale e olistica.
Sicuramente la scuola italiana non ci ha preparati a pensare in questo modo...
Ovviamente gli "Dei" ai quali l’autore si riferisce sono gli Archetipi mentali del pianeta. rl

LE CONFESSIONI DI UN PAGANO MODERNO
Chistopher Gerard, direttore della rivista Antaios

Cos’è veramente il Paganesimo all’inizio del terzo millennio?
Essere pagano oggi è, a mio avviso, voler superare sia il dualismo delle religioni monoteiste rivelate, che chiamerò per comodità religioni abramiche come il Giudaismo, il Cristianesimo e l’Islam, sia il nichilismo, pensiero tipico di una mentalità moderna singolarmente distruttiva.

Premetto di essere comunque convinto che esistano tanti approcci al paganesimo quanti sono i pagani. Ma non è questo forse nella natura delle cose, dal momento che il tratto caratteristico dei differenti Paganesimi, vecchi o nuovi, europei o no, consiste precisamente in quest'esaltazione dell'infinita pluralità del reale?

Vediamo cos'è in realtà quello che viene chiamato Paganesimo.
Il termine si può prestare a confusioni e malintesi, tanto più che esso è stato forgiato dai suoi avversari. Sono infatti i cristiani che, nel corso del terzo e quarto secolo, hanno fatto della parola latina paganus (contadino) una sorta d'insulto.
I pagani erano allora presentati come degli zoticoni, degli antiquati che rifiutavano - sfrontati! - di convertirsi alla vera fede, quella del Cristo. Ancora ai nostri giorni, il termine "pagano" è talvolta inteso come sinonimo di "barbaro", di "rozzo" e, addirittura, di "ateo".

Esso non è niente di tutto questo.
Il Paganesimo che io difendo è agli antipodi dell’esaltazione di chissà quale barbaria o quale culto della forza bruta. Se i pagani hanno sempre reso omaggi alle forze presenti nell'universo, non si tratta per noi politeisti né di un culto della violenza né tanto meno d'idolatria.

Quanto alla presunta rozzezza dei pagani, mi limiterò a ricordare che da millenni questi hanno sviluppato metafisiche estremamente raffinate: si pensi ai presocratici greci, alle Upanishad dell'India, o alle scuole platoniche, pitagoriche o ermetiche.
E’ anche da ricordare che l'ateismo è pressoché sconosciuto nelle società tradizionali, che prolifera invece nelle nostre società post-cristiane.

Se dovessi definire il Paganesimo come una coerente visione del mondo, direi che esso è fedeltà alla stirpe - considerata nel quadro di una memoria millenaria, quella che ci "re-ligat" (la religione è appunto l'atto del religare, del collegare), che ci unisce ai nostri antenati e al territorio, e che ci apre all'infinito. Potrei ugualmente definirla come partecipazione attiva al mondo, come equilibrio ricercato fra micro e macrocosmo.

È la religione naturale della natura e dei suoi cicli. Essa è la più antica del mondo perché "nata" con l’uomo. Lungi dall'essere una nostalgia da letterati fermi a qualche mitica Età dell'Oro, oso affermare che il Paganesimo sta per diventare di nuovo la prima religione del mondo.

Infatti, se si considerano gli induisti, gli scintoisti, i taoisti, gli animisti e gli adepti – sempre più numerosi – dei culti precristiani d'Europa e delle Americhe (si pensi alla spettacolare rifioritura dello sciamanesimo nell'ex-Unione Sovietica), si arriva ad un totale approssimativo di un miliardo e mezzo di persone.

Ad essa appartengono i culti preislamici (come i zoroastriani delle regioni turcofone), e persino i pregiudaici (penso in particolare ad un gruppo di ebrei americani che desidera ritornare ai culti politeisti degli ebrei). Un tale numero ne fa, o ne farà presto, il primo gruppo religioso del pianeta!

Due potenze nucleari, l'India e la Cina, sono politeiste - una sotto ornamenti modernisti, l'altra sotto fronzoli marxisti. In piena Pechino si costruiscono templi taoisti, mentre l'Induismo è divenuto “offensivo” agli occhi di qualcuno, perché osa mandare missioni indù ai quattro angoli del mondo.

Ricordiamo che il Paganesimo è religione ufficiale dell'Islanda dal 1973, e che esso è riconosciuto in parte in Gran Bretagna (in certi ospedali, prigioni eccetera) e negli Stati baltici.
In Russia, correnti pagane si sviluppano a velocità vertiginosa, nel bene e nel male, visto il disastro sociale che questo paese sta attraversando.
Interessarsi con un occhio nuovo al Paganesimo mi sembra dunque pertinente.

Quello che più spesso si rimprovera ai pagani, antichi e moderni, è il passatismo, cioè agognare ai tempi antichi della storia umana. Questo è lo stesso rimprovero che veniva mosso dai marxisti a quei “poveri pazzi” che non consideravano Marx e Lenin gli orizzonti insuperabili del pensiero umano.

Questo rimprovero – di non essere nel “senso” della storia – è del tutto insensato, dal momento che il Paganesimo non ha una visione lineare del tempo, visto come avanzata costante della civiltà verso il Progresso, a partire da un momento ben definito (la nascita del Cristo o altro).

Questa concezione lineare del tempo ci è estranea. Noi pagani concepiamo il tempo invece come ciclico, proprio come i cicli cosmici (quello solare, per esempio, con equinozi e solstizi).
Infatti il Paganesimo è una religione dell'anno, e dunque della realtà.
Il tempo dei pagani è quello dell'Eterno Ritorno, simile alla grande Ruota che gira senza posa.

Noi non crediamo né alla creazione né alla fine del mondo. Per noi non ci sarà l’Apocalisse, bensì innumerevoli fini di cicli, eternamente ricominciati. Una successione senza inizio né fine di nascite, di crescite e di declini; di crepuscoli seguiti da rinnovamenti, di cataclismi seguiti da rinascite, in seno ad un Ordine – Kosmos in greco – senza tempo in cui uomini e Dei, mortali e Immortali, hanno il loro posto e la loro funzione.

Neanche il mito del Progresso ci appartiene. Noi non crediamo né al senso della storia (concetto totalitario, a mio avviso), né alla "fine" del Paganesimo o alla "morte" degli Dei.
Di conseguenza, il rimprovero di adorare divinità morte ci lascia indifferenti.

I nostri Dei non sono morti per la semplice ragione che non sono mai nati. Apollo e Dioniso, Mithra e Perkunas sono eternamente presenti al nostro fianco. Citiamo Eraclito:
"Il mondo di fronte a noi – il medesimo per tutti – non lo fece nessuno degli Dei né degli uomini, ma fu sempre ed è, e sarà, fuoco vivente, che divampa secondo misure e si estingue secondo misure".
Questo frammento, vecchio di venticinque secoli, traduce le linee di fondo del pensiero pagano: eternità del mondo, ciclicità del tempo, comunità dei mortali e degli Immortali...

Se il tempo fosse lineare, come vorrebbero la teologie giudeo-cristiana e quella razionalista, il Paganesimo sarebbe impensabile perché "morto". Sarebbe per di più scandaloso, perché si muove in direzione contraria al sacro senso della storia.

Ma se, come tutti noi avvertiamo, il tempo è ciclico, la prospettiva muta radicalmente.
Il Paganesimo non è mai potuto morire perché, a immagine e somiglianza delle divinità che popolano i suoi pantheon, esso non è mai nato. Se le sue forme antiche (liturgie, templi...) hanno ceduto il passo ad altre che pure vi si sono largamente ispirate, tuttavia restano gli Archetipi, che sono essi stessi eterni.

Per meglio comprendere la visione pagana del mondo, è indispensabile superare i blocchi mentali indotti dal modo di pensare giudeo-cristiano. L’ellenista Marcel Détienne puntualizza nella sua prefazione al libro del professor Otto sugli Dei della Grecia:

"Dietro il falso sapere dell'intellettuale e dell'universitario, spunta il grande avversario: il cristianesimo, che ci ha imposto in maniera insidiosa un certo modo di pensare la religione.
Con la sua angoscia di salvezza e le sue gioie segrete di anima peccatrice, il cristianesimo è soprattutto un ostacolo verso la conoscenza: una malattia, uno stato di languore al quale bisogna strapparsi e dal quale bisogna guarire se si vuole riscoprire la figura autentica degli Dei della Grecia".

Il paganesimo è soprattutto una conversione dello sguardo, quello che si rivolge su di un universo del quale noi siamo, assieme agli Dèi, una parte integrante. Per meglio assimilare questa visione pagana, questo sguardo pagano, dobbiamo liberarci dal modello del "credente" delle religioni abramiche.
Questo termine è realmente privo di senso per un pagano: egli non crede, aderisce.
Allo stesso modo, egli non si converte ad un'altra religione, che potrebbe essere l'unica vera (ma che negherebbe immediatamente tutte le altre perché false e barbare). Semplicemente, il pagano ridiviene quello che è sempre stato, perché l'anima è naturalmente pagana.

Liberarsi, dicevo, dal modello del credente. Da un modo di pensare che crede di potersi assicurare la salvezza eterna in seno ad una religione che deterrebbe da sola il monopolio del Vero e del Bene. L'unica abilitata a conferire al credente i sacramenti che ne fanno un "fedele" in opposizione agli “infedeli".

La nostra visione non è dualista, e respingiamo come prive di senso le opposizioni artificiali fra Dio creatore e creature, cielo e terra, anima e corpo, credenti e non credenti, ortodossi ed eretici, eccetera.

Il Paganesimo è olistico, non dualista, e il nostro cammino è soprattutto ricerca di legami più che di rotture. Ancora una volta, noi non neghiamo l'esistenza, nel Paganesimo antico, di correnti dualiste, alle quali però non facciamo riferimento.
Gli Dei e le Dee del Paganesimo non sono né unici né onniscienti. Essi non hanno creato questo mondo, ma sono nati in esso e attraverso esso. A mano a mano che l'universo, ciclo dopo ciclo, si organizzava a partire da entità primordiali essi sono scaturiti per generazioni successive. I nostri Dei non sono persone, con le quali stabilire relazioni personali, ma Potenze. Essi incarnano la pienezza dei valori positivi: bellezza, splendore, forza, giovinezza...

Nel Paganesimo, esiste una comunità d'uomini e di Dei, di mortali e d’Immortali. Nel Simposio Platone parla appunto di "comunanza reciproca d'uomini e Dei". Nel Gorgia precisa: "I dotti affermano che il cielo e la terra, gli Dei e gli uomini sono legati insieme dall'amicizia, il rispetto dell'ordine, la moderazione e la giustizia, e per questa ragione essi chiamano mondo l'insieme delle cose e non disordine e sregolatezza". Molti secoli più tardi, Heidegger dirà: "La terra e il cielo, gli esseri divini e quelli mortali formano un tutto unico".

Gli Dei non sono dunque creatori del mondo ex nihilo: come creare qualcosa a partire dal nulla?
Essi sono emanazioni del mondo, nel quale si manifestano. Questo concetto di manifestazione è fondamentale nella nostra religione naturale, e si oppone a quello di rivelazione, che per definizione è soprannaturale. Allo stesso modo, noi ignoriamo dogmi e profeti, papi e curati, ortodossi ed eretici, sette e guru.
Il Pagano è nel mondo, sforzandosi, in tutta umiltà, di decifrare per meglio cogliere le innumerevoli manifestazioni del divino. Il Paganesimo non lascia mai che l'uomo si ripieghi su se stesso, sotto il peso del peccato originale.

Al contrario, essere pagano consiste precisamente nell'aprirsi all'esperienza del mondo. Vorrei soffermarmi per un momento sull'importanza dello sguardo, che i Greci chiamavano theoria,
osservazione delle manifestazioni del divino.
Essa ci riporta all'antica concezione dell'èn tò pàn, che si ritrova sia presso i Presocratici che nelle Upanishad: la dottrina non dualista dell'unità. In questa visione, il mondo non è visto come intimamente malvagio, incline al peccato, valle di lacrime da attraversare in tutta fretta prima di potere accedere ad un qualche ipotetico "retromondo". Non bisogna fuggire il mondo, ma affrontarlo, senza pensare ad una futura salvezza.

C'è dunque una reale accettazione del mondo, con tutte le sue infinite imperfezioni, ma considerato pur sempre come manifestazione del genio divino. La sua contemplazione attiva non può che rafforzare il nostro sentimento d'identità col grande Tutto.
Queste concezioni intimamente pagane sono sopravvissute anche in seno alla cristianità europea.
Le si ritrovano, soffocate, in Scoto Eriugena, Meister Eckhart, Nicola Cusano... Il dogma cristiano del Dio creatore esterno al mondo, sua creazione, è sempre stato contestato da questi pensatori. Questa è la famosa tentazione panteista, tanto vilipesa dai teologi ufficiali, gelosi custodi del Vero.

Già Cicerone, nel De divinatione, precisa: "tutto è pieno di spirito divino e di senso eterno, di conseguenza le anime degli uomini sono mosse dalla loro comunità d'essenza con le anime degli Dei".
Secoli prima di Cicerone, Ippocrate diceva: “Le cose sono divine e umane al tempo stesso”.

Il già citato prof. Otto, nel suo notevole saggio sugli Dei della Grecia, scrive: "Non è a partire da un aldilà che il divino opera sulla sua anima. Esso è tutt'uno col mondo. Esso si pone innanzi all'uomo a partire dalle cose del mondo, quando egli è in cammino e partecipa al fermento vitale del mondo. L'uomo fa l'esperienza del divino non attraverso un ripiegamento su di sé, ma attraverso un movimento verso l'esterno".

Il Paganesimo ignora dogmi e catechismi.
Nessun libro sacro ci prescrive in modo autoritario quello che dovremmo "credere". La nostra libertà di pensiero resta intatta. Il nostro compito consiste nell'onorare gli Dei per mezzo di riti, giacché il Paganesimo è una religione d'opere più che di fede. Si tratta di una religione vissuta nei gesti: il saluto al Sole e alla Luna, ai solstizi e agli equinozi, l'offerta di un grano d'incenso o di un fiore...

Si pensi con attenzione quanto ci sia di degenerativo nelle definizioni moderne di: "fato", "fatale" e "fatalismo". Anteponiamogli l'antica concezione di tali parole: il "fato" è la «legge dello sviluppo del mondo», una legge «piena di senso e come procedente da una volontà intelligente, soprattutto da quella delle potenze olimpiche»; non cieca, irrazionale e automatica come nel senso moderno.

Il pagano si cura pertanto di formare la sua azione e la sua vita in modo che esse continuassero l'ordine generale, ne fossero in un certo senso il prolungamento ed uno sviluppo ulteriore. Egli pertanto cercava, e cerca di presentire la direzione delle forze divine nella storia, così da potervi connettere in modo opportuno l'azione, da armonizzarla con essa, rendendola massimamente efficace e carica di significato.
Ciò consegna alla magia del rito un'importanza molto rilevante: le peggiori sciagure per il pagano nascono dall'aver trascurato gli auspici, dall'aver agito disordinatamente e arbitrariamente, rompendo i contatti con il mondo superiore, il mondo dell'invisibile.

Gli Dei sono Potenze, mai particolari in sé. La loro sola esistenza, la sola presenza di queste entità inaccessibili e tuttavia familiari basta per riempirci di gioia, per consolarci dei soprusi dell'esistenza.

Ed eccoci ad un elemento centrale nella concezione pagana del mondo: il Senso del Tragico.
Gli Dei non sono onnipotenti, per quanto siano simboli di pienezza. Essi non possono tutto, perché la loro potenza è limitata dal Destino - Virgilio lo chiamava "inexorabile Fatum". Esiste dunque un limite impossibile da superare.
Presso i Greci sono le Moire, presso i Romani le Parche, presso gli Scandinavi, le Nome - che filano il destino proprio a ciascuno. Queste potenze impersonali e inflessibili sono l'Ordine inviolabile del mondo. Esse sono al di sopra degli Dei, come ricorda Omero: "nemmeno gli Dei, dice Atena, possono allontanare la morte dall'uomo che prediligono quando la fatale Moira colpisce".

Gli Dei del Politeismo contemporaneo non concedono alcuna ricompensa.
E’ la nostra etica dell'onore che ci comanda di trasmettere un nome senza macchia, d’essere fedeli alla parola data e di rispettare i contratti. Il Mithra degli Indo-Iraniani è proprio il Dio amico, quello del contratto. Il Paganesimo è una religione non del peccato, ma dell'errore. L'errore supremo è quello che i Greci, nostri maestri, chiamavano hybris: la mancanza di moderazione, dettata dall'orgoglio, che spinge l'uomo accecato a scagliarsi contro l'ordine cosmico. Il più terribile esempio di hybris contemporaneo è dato dai totalitarismi moderni, i quali, a furia di voler "cambiare l'uomo" in realtà lo avviliscono.

Il Paganesimo non postula alcun riscatto. Si tratta, è vero, di una religiosità di questo mondo, una religiosità dell'immanenza: il mondo è sacralizzato. La cosa sembrerà strana per quanti continuano a credere che la sola vera religione sia quella dell'aldilà.
Ma essere pagano oggi vuol dire anche liberarsi da questo genere di cascami. Il Paganesimo non è una religione del terrore, del disprezzo di sé, bensì della piena salute, fisica e psichica: mens sana in corpore sano, diceva Giovenale.

Inoltre il Paganesimo si caratterizza, idealmente parlando, per il suo gusto dell'equilibrio. Sono ancora una volta i Greci a tracciare per noi la via da seguire, col concetto delfìco di Méden Agan, (nulla di troppo), illustrato dall'eccezionale senso delle proporzioni dell'arte ellenica.
Il Paganesimo non è una religione di salvezza (anche se certi culti misterici che assicurano la salvezza agli adepti vi trovano un posto). Si tratta invece di una religione terrena, mirante ad assicurare la pienezza ottimale in questo mondo, hic et nunc. Vi si cercherà invano la minima ossessione dell'aldilà.

La morte non vi è considerata come elemento centrale (col corollario di un moralismo soffocante, e l'ipocrisia che ne scaturisce). La morte è una tappa nel processo eterno di trasmissione. Come diceva Nietzsche - il filosofo col martello - "la Ruota gira" e la danza degli elementi continua, senza inizio né fine. Alla domanda angosciosa "che c'è dopo la morte?", noi aggiungeremo l'altra - "e prima della nascita?". Per noi, i cicli sono cominciati ben prima della nostra nascita e continueranno ancora per molto dopo la nostra scomparsa, a maggior gloria degli Dei.

Ora concludo. Ho voluto citare qui una serie di testi non per pedanteria, ma per meglio mostrare che io sono soltanto una maglia di una catena plurimillenaria. In realtà, io mi considero "parlato" da queste testimonianze di una fede secolare, angariata, perseguitata, soffocata - ma sempre rinascente e indomita.

Chistopher Gerard, direttore della rivista Antaios
Tratto dalla conferenza pronunciata il 15 maggio 1997 in occasione del terzo colloquio del Gruppo d'Orval.
Per gentile concessione della rivista di studi politeisti Antaios,
fondata nel 1959 da Ernst Jünger e Mircea Eliade.

E-mail: antaios_bru@hotmail.com
Antaios è membro del Centro Mondiale delle Religioni Etniche
CMRE, Vilnius, www.wcer.org
http://www.centrostudilaruna.it/gerard.html

 


mandato da Rinaldo Lampis il Domenica Ottobre 2 2005

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