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Gennaio 20, 2004

La rivoluzione tecnologica e la resa della cultura

 

 

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di FRANCO CARLINI

Neil Postman, lo studioso dei media e della politica della New York university, scomparso il 9 ottobre scorso, passava per un nemico della tecnologia, addirittura per un «luddita», specialmente per via di un suo saggio famoso, «Technopolis: la resa della cultura alla tecnologia», pubblicato da Bollati Boringhieri nel 1993. Ma chi volesse conoscerlo meglio potrà utilmente leggere il suo ultimo libro, disponibile anche in italiano grazie a una piccola casa editrice, Orme edizioni. Si intitola «Come sopravvivere al futuro» e ha un pregio fondamentale, quello di contraddire i luoghi comuni e di porre le questioni giuste. Di fronte a una nuova «rivoluzione» tecnologica, o comunque a uno dei molti salti in avanti presentati come decisivi, Postman incita tutti noi a porsi alcune domande tanto semplici nella formulazione quanto difficili nella risposta. Eccole:

1. Di quale problema questa tecnologia è la soluzione?
2. Di chi è il problema?
3. Quali persone e istituzioni potranno essere maggiormente danneggiate da una certa soluzione tecnologica?
4. Quali nuovi problemi potrebbero sorgere?
5. Che tipo di persone e istituzioni potrebbero ottenere uno speciale potere economico e politico dai cambiamenti tecnologici?
6. Quali cambiamenti nel linguaggio sono rafforzati dalle nuove tecnologie, e cosa si guadagna e si perde da simili cambiamenti?

Ovviamente sono domande «maliziose», nel senso che prevedono uno spirito pregiudizialmente critico (anzi, sanamente scettico, in senso illuminista). La prima lascia intendere che non sempre le tecnologie nuove vengono proposte per risolvere un vero problema, ma che sovente vengono portate all'opinione pubblica e al mercato solo per creare una nuova classe di desideri e consumi possibili. In altri casi, ed eccoci alla seconda e terza questione, il problema che si vuole affrontare non affligge i più bisognosi, ma un gruppo particolare, magari già affluente, e dunque tale problema in una società appena sensata dovrebbe avere una priorità più bassa di altri: il caso delle nuove esplorazioni spaziali appartiene senza dubbio a questa categoria dato che ne trarranno beneficio le industrie spaziali e il presidente Bush, ma certamente assai poco gli strati disagiati della popolazione, americana e mondiale - tra i tifosi della ricerca spaziale americana si è iscritto di recente il direttore del Riformista (?), specialista nel spiegare alla sinistra che le idee della destra sono sempre le migliori. La quarta domanda allude anche senza nominarlo al principio di precauzione: esaminare in anticipo e con occhio severo le conseguenze possibili di una nuova tecnologia perché potrebbe avere risvolti negativi e persino irresolubili: è certamente il caso delle scorie nucleari. La quinta attira l'attenzione sul fatto che sempre ogni salto tecnologico sposta degli equilibri di potere; talora lo fa in senso egualitario, ma più spesso rafforza chi è già in posizione di forza. Questi spostamenti di confine non avvengono solo in base a fattori economici, ma anche grazie a cambiamenti nel linguaggio, che crea l'ambiente e l'ideologia relativa - ed è questa la sesta questione.

Fin qui le sei domande di Postman e questa «scaletta» andrebbe obbligatoriamente applicata a molti casi, dagli Ogm al riconoscimento vocale da parte dei computer, dalla videotelefonia cellulare all'energia. Lo dovrebbero fare i politici che decidono, ma anche i ricercatori che se ne occupano e soprattutto la cosiddetta pubblica opinione, che in ultima analisi decreterà il successo o lo scacco delle nuove proposte. La storia degli Organismi Geneticamente Modificati ovviamente si presta bene a tale esercizio di spirito critico ed è fin troppo nota: per esempio l'ideologia ufficiale sostiene che esse sono la soluzione al problema della fame nel mondo, dato che aumenterebbero le rese e la quantità di nutrienti nelle piante (domanda 1), ma i critici sostengono invece quella tecnologia non è la soluzione al problema della sottoalimentazione, ma semmai risponde alla necessità dell'agricoltura dei paesi avanzati di mantenere, grazie alla tecnologia, un vantaggio competitivo sui paesi emergenti. Proviamo allora ad applicare le domande di Postman a un'altra tecnologia emergente, quella dei cosiddetti apparati RFID. La sigla sta per Radio Frequency Identification e indica degli oggetti minuscoli, spesso chiamati «tag», o etichette, che si possono applicare a qualsiasi oggetto. Contengono un piccolo chip il quale, nelle versioni più semplici, non ha nemmeno bisogno di una batteria per funzionare. Invece basta che esso sia investito da un'onda elettromagnetica di opportuna frequenza, emessa da un apparato di lettura per lasciarsi leggere, lui e il suo contenuto. Il sistema è analogo a quello in uso nei Telepass autostradali: il casello interroga la macchina in transito, ne legge il codice e memorizza ora, codice e tariffa per la successiva fatturazione. Il settore è in piena ebollizione e i soggetti interessati sono soprattutto quelli della logistica. Gli RFID infatti vengono immaginati come un sostituto delle etichette con i codici a barre e i risparmi previsti sono dell'ordine del 20% nella gestione delle merci e dei magazzini.

Il problema che risolvono è dunque essenzialmente quello della riduzione dei costi e riguarda le aziende che operano nella catena distributiva. Che questi risparmi si ripercuotano come beneficio sul prezzo dei prodotti non è affatto detto e nella fase iniziale, che richiederà investimenti massicci di tecnologia, semmai produrranno degli aumenti di prezzo: oggi un RFID costa attorno ai 25-50 centesimi di dollaro e i loro promotori contano di farli scendere a 5 cents. Certamente li pagheranno i consumatori. Per i clienti dei grandi magazzini l'unico vantaggio sarà quello di abbreviare o annullare le code alla cassa: si passa davanti al casello, il lettore legge e il totale diventa immediatamente un accredito bancario al negozio. Le iniziative più spinte in questo settore sono quelle della catena Wal-Mart, che ha già deciso di imporre a tutti i suoi subfornitori le etichette, a partire dal prossimo gennaio.

Chi volesse seguire il filo delle domande di Postman dovrebbe concludere dunque che questa tecnologia di controllo essenzialmente rafforza gli operatori dominanti e non provoca particolari benefici agli altri. Per i cittadini poi c'è forte la preoccupazione di violazione della privacy se le etichette rimangono attive anche una volta usciti dal supermercato. Lo scenario descritto in questa stessa pagina a proposito delle fiches da casino fa intuire la miriade di controlli sociali che potrebbero essere attivati in questo modo.


 


mandato da Ivan Ingrilli il Martedì Gennaio 20 2004
aggiornato il Sabato Settembre 24 2005

URL of this article:
http://www.newmediaexplorer.org/ivaningrilli/2004/01/20/la_rivoluzione_tecnologica_e_la_resa_della_cultura.htm

 


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