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Luglio 16, 2003

Il dossier sull'uranio di Saddam Hussein

 

 

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Una trappola dei servizi segreti francesi nella quale cade la nostra intelligence. Una notizia falsa che è arrivata a mettere definitivamente in crisi la credibilità di George Bush e Tony Blair. Tutto nasce nella hall di un albergo di Niamey passando per Palazzo Chigi ed arrivando fin dentro la Sala Ovale della casa Bianca. Il 28 gennaio 2003 il Presidente degli Stati Uniti afferma: "sono in posseso di informazioni che provano come Saddam Hussein abbia acquistato in Niger uranio per scopi militari". Era tutto falso. "Nuovi Mondi Media" è in grado di ricostruire l'intera vicenda.

Come è nato il falso dossier sull'uranio che gli emissari di Saddam Hussein avrebbero acquistato in Niger

La persona che incontro sabato 12 luglio intorno alle ore 15.00 a pochi chilometri da Roma, in una grande casa di campagna dove è ospite di amici se la ride di gusto ma è anche preoccupato per la piega che stanno prendendo gli avvenimenti che in qualche misura lo vedono coinvolto.

Ma quali avvenimenti? Ed in che misura è coinvolto?

*****

(E’ necessaria una nota preliminare: conosco la persona che mi è di fronte dalla fine degli anni ’80 quando per un lungo periodo (1989-1994) ho vissuto in Africa.

In Madagscar prima e poi nell’ex Zaire e Rwanda. In quegli anni ad Antananarivo, la capitale malgascia dove vivevo nella zona di Tzimbatzatza, gli europei residenti erano davvero pochi, non più di una cinquantina, e gli italiani ancor meno, circa una decina. Quasi tutti impiegati nella nostra ambasciata (allora ancora operativa) ed altri inviati da Fiat (per una fabbrica di camion da spostare in Madagascar dall’ isola di Mauritius) o impegnati nella consulenza per la costruzione di una rete di dighe per favorire l’irrigazione dei campi da parte dei numerosi corsi d’acqua che attraversano il grande altipiano dell’isola.

Tutti noi stranieri ci incontravamo la sera nel bar dell’hotel Colbert, nel pieno centro della capitale, in mezzo alle botteghe piene di oro e di argento gestite dalla comunità indiana. Tra una birra fredda ed un piatto di carne di zebù ai ferri non era difficile familiarizzare con gli altri europei. Ed un italiano non passava di certo inosservato.

Successivamente, nel 1992, questa persona mi aiutò non poco a Kinshasa, la capitale dell’ex Zaire, quando con altri tre colleghi venni arrestato dalle forze di polizia della città che si erano schierate con i ribelli anti Mobutu, il presidente della Repubblica di allora, con l’accusa (pretestuosa) di essere entrato illegalmente nel paese. In meno di 48 ore venimmo liberati e ci furono restituiti documenti e persino il denaro che c’era stato sequestrato.

Una persona influente, un funzionario dello stato che (indubbiamente) si muoveva a suo agio nelle complicate dinamiche delle capitali e dei governi africani. Una persona che potremmo definire come capace di trovarsi al posto giusto nel momento giusto. Almeno dal suo punto di vista.

Dopo l’omicidio a Mogadiscio dell’inviata del Tg3 Ilaria Alpi e dell’operatore Miran Hrovatin, il 20 marzo del 1994 , tornai a parlare con lui dei molti misteri che circondavano e tuttora circondano la vicenda. Ed era sempre ricco di informazioni, naturalmente riservate. Naturalmente espresse con un linguaggio molto diplomatico pur se mai evasivo.

Questa lunga premessa serve per cercare di inquadrare la figura della persona che ho incontrato sabato scorso e che considero, indipendentemente dal giudizio personale, affidabile e persino utile per il mio lavoro di giornalista che si è sempre occupato di “esteri”.

Come al solito la conversazione che riporterò (per maggior chiarezza sotto forma di intervista) è sottoposta ad una condizione obbligata: l’assoluto anonimato della fonte. ndr).

*****

Allora, cos’è questa storia dei documenti che gli uomini dei servizi segreti italiani avrebbero trovato in Niger e che dimostrerebbero l’esistenza di un accordo tra il paese africano ed il regime di Saddam Hussein per una compravendita di uranio a scopi militari?

“E’ una storia abbastanza banale in fondo. Una storia come tante ne accadono tutti i giorni in tanti paesi del mondo ai nostri consulenti”.

Quali consulenti e “consulenti” di cosa, che lavorano per chi?

“Vede, il mondo dei servizi è un poco più complesso di quanto possa apparire ad un profano o ad una lettura diciamo “colorita” che ne danno spesso i giornali.

Non è che gli agenti e gli esponenti dei servizi passino il tempo girando il mondo indossando un trench avorio ed un Borsalino in testa. Sono pieni di attività più sfumati, dove le persone impiegate per alcuni servizi o missioni, di fatto, sono dei funzionari dell’Amministrazione dello Stato. Copertura eccellente quando come nel caso dell’Italia si possiede una rete di ambasciate e missioni diplomatiche all’estero particolarmente estesa. Ed in genere queste persone si presentano appunto come “ispettori” della Farnesina o, meglio ancora, come “consulenti”. Di cosa, mi chiede? Ma di tutto, non c’è che l’imbarazzo della scelta: consulenti agricoli, commerciali, culturali, industriali.”

I “consulenti” dei quali parla sono però a tutti gli effetti esponenti dei servizi di sicurezza?

“Certo. Su questo non c’è dubbio”.

Arriviamo in Niger.

“D’accordo parliamo del Niger”.

Anche lì arrivavano molti “consulenti”?

“No, non in modo particolare. E’ necessario ricordare che il Niger è un paese sotto l’influenza francese ed i nostri vicini europei si muovono più o meno come noi quando si tratta di “consulenti”.

Ma andiamo avanti. Il punto d’incontro a Niamey, la capitale del Niger, è uno solo, il Grand Hotel du Niger. E quando a colpo d’occhio si possono notare nella hall, al bar o al ristorante un po’ troppi “consulenti” europei vuol dire che c’è “movimento”. O che comunque qualcosa che val la pena di approfondire.

A questo punto entrano in scena i servizi di sicurezza, allertati dai “consulenti” sul posto che inviano note o relazioni su quanto accade, o quanto credono di aver capito che possa accadere, ai loro uffici di riferimento italiani. Queste comunicazioni avvengono di norma tramite posta elettronica, grazie a semplici software di criptazione dei messaggi”.

Quindi la storia dell’uranio che sarebbe stato acquistato dagli iracheni è nata nella hall di un albergo?

“Si. Ma occorre che le spieghi. Intanto gli iracheni non hanno mai neppure pensato di acquistare uranio né nel paese africano né, francamente, altrove. Ma soprattutto il Niger non si è mai sognato di entrare in un simile pasticcio internazionale dal qual sarebbe uscito a pezzi.

Inquadriamo i tempi di questa vicenda: tutto si svolge tra il novembre/dicembre 2001 ed il 28 gennaio 2003, quando il presidente degli Stati Uniti legge l’ormai famoso discorso sullo “ Stato dell’Unione” nel quale afferma perentoriamente di essere in possesso di documenti comprovanti l’acquisto di uranio del Niger da parte di emissari del governo iracheno. Una data questa del 28 gennaio assolutamente determinante per vincere le ultime deboli resistenze in seno al Congresso degli Stati Uniti in vista della guerra. La notizia come è logico fa in un baleno il giro del mondo e riempie i titoli di tutti i giornali. Ma lascia sbigottiti e sconcertati tutti quei signori, tutti quei “consulenti” che si aggiravano nella hall del Grand Hotel du Niger sul finire del 2001”. Per farla breve, quel 28 gennaio del 2003, per la prima volta al mondo niente di meno che il presidente degli Stati Uniti, l’uomo più potente del pianeta, afferma pubblicamente qualcosa che altro non è che una bugia."Una menzogna".

Ma come è finita quella notizia nel discorso sullo “Stato dell’Unione”, e che ruolo hanno avuto i servizi segreti, o per meglio dire, i “consulenti” italiani?

“Altro passo indietro. Non era certo un segreto per nessuno che dopo l’11 settembre gli Usa avrebbero attaccato l’Afghanistan, così come è avvenuto.

Ancor più trasparente, da subito, fu l’indicazione che il vero obiettivo nel mirino della Casa Bianca era Saddam Hussein. I motivi li conosciamo tutti e parlare di questi motivi ora ci porterebbe lontanissimo dal nostro discorso.

Attaccare l’Iraq, destituire Saddam Hussein, era diventata una sorta di fissazione delle amministrazioni americane, tanto quelle repubblicane quanto quelle democratiche, da Bush Senior, passando per Bill Clinton per arrivare a George Junior.

Ora, arrivare al centro di Baghdad con i carriarmati e prendere di peso il “Rais” e tutta la sua cricca non era un’operazione così semplice. L’Iraq è al centro del mondo arabo, lo stesso mondo e gli stessi popoli che si sentivano messi sotto accusa per l’11 settembre esclusivamente in quanto arabi e musulmani.

La comunità internazionale, poi, avrebbe avuto molti dubbi ad appoggiare una campagna militare tanto estesa e potenzialmente pericolosa per i destini del mondo intero.

Serviva qualcosa di formidabile, di eccezionale. Una notizia che valesse come un colpo di teatro servito sulla scena internazionale. Quale miglior palcoscenico della Casa Bianca? Quale miglior attore che non lo stesso presidente? Quale migliore notizia da agitare se non quella del pericolo della costruzione della bomba atomica da parte di Saddam?

Da quel momento, e siamo poco prima di Natale del 2001, le pressioni sui paesi “amici” della Casa Bianca si sono fatte pressanti, quasi asfissianti: andava trovata ad ogni costo, con ogni mezzo ed in ogni luogo della Terra la notizia che l’amministrazione Bush voleva trovare”.

Ma non bastavano i dossier che via via venivano presentati da Washington e da Londra intorno alle armi di distruzione di massa che sarebbero state in possesso degli iracheni?

“Ma no che non bastavano. Quella era pura propaganda. Una sfacciata propaganda militare accettata acriticamente dalla stampa di mezzo mondo e da moltissimi governi. Senta, non voglio fare un torto alla sua intelligenza, ma mi rifiuto di pensare che lei abbia creduto alla storia dell’”arsenale” di Saddam”.

Io veramente non ci ho mai creduto...

“Ecco, appunto. Volevo ben dire. E con lei non ci hanno creduto qualche centinaio di milioni persone nel mondo intero. Il movimento pacifista internazionale che si andava tumultuosamente sviluppando sotto ogni latitudine e longitudine ha creato davvero un grosso problema alla Casa Bianca ed ai servizi di intelligence di Londra e di Roma. Ed a quell’esercito di “consulenti” inviati per il mondo alla ricerca della “madre di tutte le prove” contro Saddam, e che lavoravano per quei governi, certamente i più esposti sul fronte della guerra contro l’Iraq.

Ero a New York in quell’incredibile pomeriggio durante il quale il Segretario di Stato americano Colin Powell di fronte alle telecamere ed all’opinione pubblica del mondo intero tentò goffamente di dimostrare l’esistenza delle armi di distruzione di massa in possesso agli iracheni e la relativa localizzazione dei laboratori chimici attraverso una serie di disegni e modellini di camion. Mi sentii gelare il sangue nelle vene. Capì che non dopo l’11 settembre, ma dopo quello show di Colin Powell il mondo non sarebbe più stato lo stesso”.

La seguo perfettamente e sono anche d’accordo con lei su queste ultime affermazioni, ma come arriviamo nella hall dell’hotel di Niamey?

“Arriviamo subito in Niger. La convivenza tra “consulenti” italiani e francesi in Africa non è sempre stata facile. I francesi continuano a considerare l’Africa francofona come “cosa loro” e mal si adattano a trovare sulla loro strada “consulenti” di altri paesi. Soprattutto se italiani. Noi abbiamo sempre combinato dei gran casini in Africa: dal disastro della cooperazione, a qualche vendita un po’ troppo disinvolta di armi a fazioni in lotta non proprio gradite a Parigi, fino alla vecchia storia dei rifiuti tossici e radioattivi che per anni abbiamo spedito a Gibuti. E come al solito abbiamo approfittato della loro “ospitalità”: da una quota diciamo “tot” di tonnellate di rifiuti concordata con i francesi abbiamo riempito ogni luogo del piccolo avamposto del Corno d’Africa.

E ci hanno cacciato da Gibuti a calci nel sedere. Finendo a scaricare quegli stessi rifiuti ed a trafficare con le armi ancora più a sud, in Somalia, nel porto di Bosaso.

Quindi quando i nostri “consulenti” che si trovavano in Niger hanno cominciato ad inviare messaggi riservati sostenendo di possedere informazioni circa la vendita di uranio all’Iraq da parte del paese africano, si sono allertate tutte le antenne, si sono drizzate tutte le orecchie. E subito è stata chiesta una verifica incrociata delle notizie e delle fonti”.

Quando una notizia è considerata attendibile nel mondo dei “consulenti”?

“Non c’è un parametro oggettivo per valutare l’attendibilità di una informazione. L’unico parametro possibile è la serietà dimostrata negli anni da parte del “consulente” che la riporta. Se mi arriva una nota urgente nella quale leggo che da una città del Sudan è stato posizionato su una rampa di lancio un missile diretto all’ambasciata Usa di Nairobi, cosa vuole che faccia? Che telefoni al ministero degli interni sudanese per averne conferma? Sono costretto a fidarmi della stessa affidabilità del “consulente” che ha inviato la nota. E quindi applicare tutte le procedure che devono essere eseguite in questi casi”.

Quindi i “consulenti” sono il primo anello di una catena di riscontri che risale una scala gerarchica?

“Si, possiamo dire così. Ma è importante anche l’”ambiente” dal quale proviene la notizia: il Niger non è un punto di forza e di penetrazione della nostra intelligence. Non ce n’è mai fregato nulla del Niger a noi italiani”.

Ed allora perché i “consulenti” italiani si trovavano in quel paese?

“Ma perché dopo le pressioni della Casa Bianca per dare la caccia ad una informazione che non si sapeva neppure se esistesse come presupposto, i servizi di Londra e di Roma in particolare avevano acceso una rete enorme di reperimento di informazioni per cercare di capire e per cercare di vedere cosa poteva rimanere impigliato nella rete stessa come qualità di informazioni.

Africa, Asia, America Latina, ogni luogo poteva essere buono come “sorgente” della notizia. E tutti avevano sguinzagliato tutti in ogni luogo”.

E quella notizia giunta dal Niger?

“Quella notizia che arrivava dal Niger puzzava di bruciato lontano mille miglia.

Possibile che in un’area dominata da decenni dai “consulenti”, ma anche direttamente dai servizi francesi, proprio Parigi si facesse soffiare con tanta facilità una notizia come questa? La notizia era poi supportata da un’informazione che però non provava né confermava un bel nulla: nel 1999 l’ambasciatore dell’Iraq a Roma aveva compiuto un viaggio a Naimey, incontrando alcune autorità locali. Un po' poco per passare direttamente alla bomba atomica di Saddam, non trova?”.

Quale scala gerarchica seguono le note e le informazioni raccolte dai “consulenti”?

“Una scala molto semplice: il “consulente” invia l’informativa al suo servizio di riferimento. Questi ultimi la passano per l’analisi ad altri uffici, dopodiché se la notizia “regge” ad una analisi politica e “logica” prosegue il suo cammino fino ai livelli superiori dei servizi dove viene “classificata”. Infine portata a conoscenza delle autorità politiche: la commissione di controllo sui servizi di sicurezza e naturalmente gli uffici del Presidente del Consiglio a Palazzo Chigi”.

Che cosa rendeva non attendibile l’informazione dell’acquisto dell’uranio da parte degli iracheni?

“Ma, andiamo! Non dimentichiamoci che i francesi sono svegli, non si fanno fregare tanto facilmente. Quella informazione raccolta e proceduralmente diffusa dai nostri “consulenti” era un chiaro bidone dei servizi di Parigi. L’Eliseo aveva capito subito che George Bush ed il Pentagono avrebbero attaccato anche unilateralmente l’Iraq, perfino in barba al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite come è poi avvenuto. Avrebbero potuto esercitare una dura opposizione di principio alla guerra, difendere le loro ragioni alle Nazioni Unite e di fronte all’opinione pubblica interna ed internazionale, ed anche questo è avvenuto. Ma non sarebbero in nessun caso riusciti ad impedire la guerra.

Una volta intercettata la richiesta della Casa Bianca ai governi ed ai servizi “amici” di trovare ad ogni costo “quella” informazione che potesse portare a “quel” colpo di teatro che gli strateghi di Washington avevano deciso a tavolino nella Sala Ovale della Casa Bianca, si sono girati intorno ed hanno trovato nel Niger il terreno adatto per far scattare la trappola. Il pensiero di Chirac e dei servizi francesi è stato questo: non siamo in grado di impedire la guerra, i nostri interessi economici e politici in Medio Oriente potrebbero correre un serio pericolo per l’avventurosa strategia della Casa Bianca, di Londra e di Roma.

Tiriamo un bidone ad uno dei tre servizi e dopo la guerra, stabilizzate, comunque vadano, le cose, lasciamo filtrare che il Presidente degli Stati Uniti ha dichiarato una bugia all’opinione pubblica ed allo stesso Congresso per forzare la mano sulla scelta di entrare in guerra”.

E perché proprio gli italiani sono rimasti con il classico fiammifero acceso in mano?

“Fregare la Cia è un po' più complicato obiettivamente. I servizi inglesi sono molto abili nell’analisi delle informazioni e delle notizie che ricevono. I “consulenti” ed i servizi francesi si sono accorti che in Niger vi era una situazione irripetibile: padroni loro del territorio in compagnia di alcuni “consulenti” italiani che non sapevano neppure cosa cercare né dove.

Ma la colpa non è dei servizi italiani, sia ben chiaro, non vorrei che queste mie parole fossero comprese come una presa per i fondelli dei “consulenti” e dell’intelligence italiana. Il “consulente” che ha ricevuto la prima informazione ha svolto correttamente il suo lavoro. Cosa altro poteva fare quando gli è capitata per le mani un’informazione come questa? Ha scritto una nota e l’ha lanciata lungo la scala procedurale e gerarchica che conosceva”.

Quindi dove è avvenuta la “deviazione”, se possiamo chiamarla così?

“Più che “deviazione”, una parola che rimanda a sciagurate politiche dei servizi degli anni ‘70, lo chiamerei un eccesso di entusiasmo”.

Entusiasmo?

“Intendo dire che il governo Berlusconi 2 si era lanciato anima e corpo verso la Casa Bianca, arrivando ad appiattirsi completamente sulle posizioni più radicali degli “uomini del Presidente”. Per un certo periodo (fin troppo lungo) l’Italia non aveva neppure un ministro degli esteri in carica. Tutti i rapporti internazionali erano tenuti e gestiti dallo stesso Presidente del Consiglio, un premier che appariva ansioso di essere accreditato come “fidato” dall’entourage di George Bush. Bush a sua volta era alla ricerca della prova “somma” contro Saddam Hussein che avrebbe zittito tutti gli scettici.

La missione degli ispettori dell’Onu guidati da Hans Blix non era venuta a capo di nulla, non solo perché nulla vi era da trovare in tema di armi di distruzione di massa in Iraq, ma anche perché gli ispettori non erano stati neppure informati di dove cercare gli arsenali. la Cia che avrebbe dovuto fornire la logistica necessaria si era limitata a distribuire agli uomini di Blix e del suo vice, l’egiziano Baradei, carte geografiche ed indefinibili fotografie prese dai satelliti che ritraevano dune nel deserto. Lo so che sembra impossibile, ma le assicuro che questa fu la dotazione fornita dalla Cia. Questo spiega anche la furiosa reazione contro la Casa Bianca del simpatico Hans Blix all’indomani del suo pensionamento”.

Torniamo a Palazzo Chigi...

“La nota giunta dal Niger diventa una notizia nelle mani degli analisti dei servizi.

E come un dossier arriva fin sul tavolo del Presidente del Consiglio. Il quale in modo irrituale lo comunica direttamente alla Casa Bianca senza passare per i canali formali normalmente utilizzati: un Primo Ministro parla con un Primo Ministro, un Capo dei servizi parla con un altro Capo dei servizi.

Una notizia che giunge direttamente da una Cancelleria o dagli uffici di un Premier è più di una notizia. La si da già per verificata e confermata. La si considera una notizia, appunto, che un premier comunica ad un altro Capo di governo. Quindi arriviamo a quelle righe lette dal Presidente Bush il 28 gennaio scorso.

Con mezzo mondo dell’intelligence con le mani nei capelli. Ed una bieca soddisfazione di Parigi.

Quando parlo di “entusiasmo” mi riferisco alla necessità di dover soddisfare le esigenze di un Primo Ministro che a sua volta trasmette una visibile esigenza (che sconfina con quella che potremmo chiamare un “ansia da prestazione”) di essere considerato alla pari con il suo interlocutore. Questa volta l’interlocutore, che poi è il Presidente degli Stati Uniti, l’ha preso sul serio. Ed ora è scoppiata la bomba, Non certo quella di Saddam, ma quella orchestrata dai francesi, raccolta dai “nostri”, rilanciata al livello politico più alto, finita in una dichiarazione ufficiale dell’uomo più potente del mondo che si stava preparando ad una guerra dalle imprevedibili conseguenze”.

Ma il Presidente Bush ha riconosciuto come sbagliata quella dichiarazione…….

“Si, lo scorso 7 luglio il Presidente George Bush è stato costretto ad ammettere che “è stato un errore citare quell’accusa non comprovata”. Un pasticcio colossale. Aggravato ancor di più dalla posizione degli inglesi che avendo ricevuto l’informazione proveniente dal Niger solo di “sponda” e neppure direttamente sono ora nella condizione di dover difendere l’indifendibile, ovvero che l’informazione stava in piedi, per non provocare un disastro ancor maggiore nella già traballante posizione di Tony Blair, il quale da giorni chiede scusa ai vertici dei servizi di sicurezza di Sua Maestà per aver “corretto” di proprio pugno, drammatizzandoli, i dossier che gli arrivavano dall’intelligence britannica. La situazione davvero non invidiabile di Tony Blair e del suo staff è questa al momento: dover difendere un’ informazione creata dai francesi in Niger, girata agli italiani che hanno prima sottovalutato il controllo di sicurezza di una tale informazione, per poi sopravvalutarla fino a dargli dignità di dossier trasmesso a livello di Primo Ministro sul tavolo del Presidente degli Stati Uniti.

Ed infine trasmessa da Bush a Blair (sempre da Capo di Governo a Capo di Governo, in quanto proveniente da un Capo di Governo, quello italiano) per completare i rispettivi “capi di accusa” contro Saddam Hussein.

Ed ora l’imbarazzata smentita del Presidente Bush.

Se Tony Blair dovesse arrivare a scusarsi davanti al suo Parlamento ed all’opinione pubblica inglese anche di questo, non gli resterebbe altro che dimettersi”.

E tutto questo è cominciato nella hall del Grand Hotel du Niger di Niamey?

“Esattamente”.

E, adesso?

“Adesso vado qualche giorno in vacanza. Sperando di cavarmela in mezzo a tutte queste trappole”.

Ha paura di qualcosa?

“Si, di perdere dei punti sulla patente. Mi dimentico sempre di allacciare le cinture di sicurezza”.

 


mandato da Ivan Ingrilli il Mercoledì Luglio 16 2003
aggiornato il Sabato Settembre 24 2005

URL of this article:
http://www.newmediaexplorer.org/ivaningrilli/2003/07/16/il_dossier_sulluranio_di_saddam_hussein.htm

 


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Readers' Comments


sto cominciando a capire che tutto sembra un gioco,tutto e stato studiato a perfezione...ma che basta un niente per distruggere tutto..questi stessi "consulenti" mondiali che hanno voluto la querra in iraq,sono gli stessi che hanno ucciso il presidente kennedy, ho suo fratello bob...Martin luter king..che non volevano più violenze..guerre...J.F.K. era contrario al vietnam quanti soldi a portato nei cassonetti americani...non ne hanno detto neanche la meta dei ragazzi morti laggiù..e mi chiedo una cosa,siccome questi consulenti nel mondo fanno apparire le cose che vogliono loro tutta la storia del 900 e una farsa..chi cazzo era Hitler..o wiston churcil..mi viene da farmi una domanda...la russia aveva appena avuto una rivoluzione comunista e la cosa si stava allargando...se nel 63 è riuscita a nascondere l'omicidio del presidente degli stati uniti,aveva una bella organizzazione ,e una cosi non la fai in pochi anni..la mia forse e solo lavoro di fantasia perche ho 19 anni, ma se il Fhurer e stato messo su da qualcuno per contrastare la rivoluzione russa..forse anche a sua insaputa come a sua insaputa e stato ucciso il probabile esecutore del presidente che appena arrestato ha subito rilevato "sono un caprio espiatorio"..e come se questi "consulenti" sono dentro a un labirinto che ne milioni al suo interno..e come le scatole cinesi..se la teoria che la realta e fatta di regole e le regole le fa la societa cari miei cristo potrebbe davvero essere morto di freddo...vorrei sapere se la mia teoria e possibile o sono da ricoverare in psichiatria

Mandato da: giovanni il Agosto 11, 2003

 

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